Notte d’inizio inverno
Sembra proprio che
quest’autunno piovoso stia per trasformarsi in inverno con un certo anticipo.
Guardo dalla finestra l’orizzonte e la luce crepuscolare; nonostante il cielo
carico di nubi e un residuo vento da nord invitino a rimanere seduti sul divano
a leggere un libro, decido di tuffarmi nelle acque del
lido di Reggio, anche per riprendere l’uso della muta stagna in
questa nuova stagione fredda.
Raggiungere il litorale è ardua impresa: resto imbottigliato nel traffico di una
città frenetica per gli acquisti di Natale e difficilmente riesco a mantenere la
calma… “Fortuna che fra breve riuscirò a infilare la
testa sott’acqua”, mi ripeto più volte.
In poco più di venti minuti percorro quei due chilometri scarsi di strada che
separano la mia casa dal mare e posteggio l’auto a pochi passi dal bagnasciuga.
Onde piccole e frequenti frangono sospinte da un venticello piuttosto frizzante,
ma l’acqua non sembra poi così male e prevedo una discreta visibilità, in ogni
caso sufficiente per la mia esplorazione notturna.
Dopo il classico rituale della vestizione, chiudo la cerniera dorsale della
stagna aiutandomi con un cordino agganciato ogni volta in un posto diverso (una
ringhiera, un albero o altro), tecnica da subacqueo solitario quanto mai
indispensabile, e mi carico in spalla il gruppo per entrare in acqua.
Assumo l’assetto necessario per scendere lentamente i primi metri e, guadagnata
una posizione parallela al fondale, inizio a muovermi verso la profondità,
stabilizzando la quota di perlustrazione tra i 20 e i 30 metri.
Riconosco subito il grande copertone a –23 m, che ospita rossi paguri con le
loro sempre nuove conchiglie; vedo le prime murene fuori dai loro nascondigli,
nella classica posizione da “rettile”, sinuose e belle proprio come serpenti.
Mi concentro a fotografare una bellissima triglia di scoglio ma, poco lontano,
appena percepibile ai margini del fascio di luce della mia torcia, un paio di
grandi occhi emergono dalla sabbia.Sembra una pescatrice,
no, ma che dico: è una razza maculata, bella,
grande, apparentemente tranquilla…
Mi avvicino per farle delle
foto e la trovo disponibile. Piazzo diversi scatti e la seguo nei suoi primi
brevi spostamenti. Scatto ancora e poi ancora, fino a quando decido di lasciarla
in pace.
Intorno a me le triglie sono
abbondantemente diffuse insieme a scorfanetti rossi e scorfani neri, e poi
ancora murene. Noto con amarezza che son rimasti pochi spirografi e che della
notevole presenza di attinie come l’Alicia mirabilis
non è rimasta alcuna traccia.
Presenti ancora i pesci trombetta, anche se
in gruppi più contenuti. Ma chissà che non tornino, visto che in altri siti sono
ancora abbondanti. Forse l’acqua non è ancora abbastanza fredda per l’incontro
con pesci San Pietro o
calamari, tipici del luogo.
La corrente stasera è appena percepibile e mi godo il tepore della mia vecchia
stagna che non indossavo ormai dallo scorso inverno, nonostante l’usura sia
causa di qualche infiltrazione.
Ruotando il polso e potando la
luce da un lato all’altro, nel tentativo continuo di avere sempre una nuova
sorpresa, sono fortunato e mi trovo al cospetto di una scena di vita nel mare
davvero stupenda: una vera e propria franata di pietre, accuratamente raccolte,
conduce inevitabilmente lo sguardo in cima alla catasta ben strutturata: qui si
apre l’imboccatura circolare di un grosso tubo in cemento, al centro del quale
un enorme polpo fa bella mostra di se e dei
suoi più grossi tentacoli, muniti di ventose il cui bianco risalta sul rosso
vinaccio del corpo.
Il polpo mi osserva, o meglio
cerca invano di capire cosa accade, puntando lo sguardo in direzione della luce
che gli piomba addosso nell’oscurità. Sono tanti anni ormai che studio questo
incredibile cefalopode nel suo ambiente e ancora oggi sono sempre affascinato
dal suo comportamento e dal suo unico aspetto.
Non posso fare a meno di toccarlo e di osservare le sue reazioni: vedere un
animale di tale mole spostarsi e usare i tentacoli è a dir poco avvincente.
Scatto fotografie in sequenza, una dopo l’altra e, se non fosse per
l’autocontrollo di cui dispongo, mi lascerei andare e finirei la pellicola su di
lui. Cerco di limitare i flash, aspettando di ottenere belle immagini nei
momenti giusti. Osservo il mollusco e ne sfioro i tentacoli e le ventose …
Ma
l’aria delle bombole è ormai agli sgoccioli: devo
salutare e procedere nell’ascesa verso il mio mondo, quello delle terre emerse.
Ma penso già al mio ritorno nell’elemento liquido, dal quale dipendo e nel quale
mi sento completo in tutti i sensi. |