Jonio
profondo
Sull’orlo
di una fossa, in Mediterraneo
Viaggio in tre tappe alla scoperta dei fondali
dell’estremo lembo meridionale della Calabria
Punta
Pellaro e la Fiumarella
In una Calabria ancora
selvaggia e desolata, dove le spiagge sono incredibilmente vaste e dove le più
grandi fiumare d’Aspromonte si riversano in un mare subito profondo, sott’acqua
si trovano imponenti cigliate parallele al litorale, incredibili
scalinate di roccia che conducono rapidamente verso l’abisso di un mare
freddo, lo Jonio, forse meno colorato del Tirreno ma non meno ricco di
sorprese per il subacqueo amante del Mediterraneo.
Quello che proponiamo in queste righe è un viaggio in tre tappe alla scoperta
dell’estremo lembo meridionale d’Italia, nei dintorni di quel fazzoletto di
terra calabrese denominato Capo Sud e che
comprende anche la Punta di Pellaro e il
Capo dell’Armi, al confine meridionale dello
Stretto di Messina.
Il Mar Ionio occupa la parte
centrale del Mediterraneo meridionale: è qui che si raggiunge la massima
profondità di questo mare (5.093 m nella Fossa Ellenica). Caratterizzato da
profonde fosse ed estese piane abissali, lo
Ionio rappresenta una delle aree geologicamente più attive del nostro paese.
La porzione di Jonio che lambisce la Calabria meridionale è estremamente
intrigante dal punto di vista subacqueo, anche se le terre emerse si presentano
con un paesaggio che per nulla farebbe pensare a delle cattedrali di roccia poco
distanti da riva.
Il fascino e la prorompente aggressività di un mare azzurro e
profondo, dove la pace e la desolazione non svaniscono, se non in minima parte,
neanche in estate, sono il punto di forza di questi luoghi adatti ai “lupi
solitari”, a quei subacquei che cercano il mare e null’altro e che vogliono
vivere le loro immersioni tra pochi intimi, esperti e amanti di quel
Mediterraneo apparentemente ostile.
In luoghi dove il turismo di massa non ha
ancora preso piede per mancanza di ricettività, dove l’unica forma di
turismo è quella sostenibile, rispettosa dell’ambiente e quindi
attenta al paesaggio, il subacqueo motivato può scegliere di scoprire i
segreti dello Jonio calabrese, lo Ionio dello Stretto, solo se in possesso
di una buona esperienza e di tante immersioni sulle spalle.
Da
nord verso sud ci avventuriamo alla scoperta del sesto continente partendo dalla
propaggine sabbiosa di Punta Pellaro.
Qui, dove la spiaggia si spinge in mare come una lingua protesa verso la
maestosa Etna, la Calabria si tuffa negli abissi con vertiginosi pendii spazzati
da correnti imprevedibili. Molte le immersioni possibili lungo gli arenili
sabbiosi di Pellaro e dintorni, ma due le proposte importanti.
La prima prevede di immergersi da terra di fronte a un torrente noto come la
Fiumarella; la seconda invece, sempre con
ingresso in mare dalla spiaggia, ci porta sul sommo di una secca molto vicina
alla riva, che da soli tre metri di profondità sprofonda nel blu con una franata
di massi che si diradano intorno ai 65 m di profondità. Quest’ultima è nota ai
locali come Secca di Pellaro.
Ma torniamo alla foce del torrente Fiumarella, dove c’è una prima
scogliera fatta di pietre quadrangolari e molto ampie, sparse tra due e cinque
metri di profondità.
Sembrano quasi delle mura accatastate sul fondo, tanto che le singole pietre, a
uno sguardo dall’alto, sembrano come i pezzi di un puzzle. Il risultato è un
vero reef con numerosi rifugi per piccoli pesci e una moltitudine di
invertebrati. Un tempo questi scogli erano tappezzati da grandi spirografi e
popolati da incantevoli esemplari di cavalluccio marino.
Superata questa zona di
bassofondo, si segue il pendio di fine sedimento: presto ha inizio la tipica
discesa verso le profondità dello Jonio ma quasi subito, a soli 18 m dalla
superficie, un muro di pietra sembra sbarrarci la strada.
Il castello di roccia fuoriesce dal fondo e si snoda per una cinquantina di
metri parallelo al litorale.
Il lato esterno, con una caduta di una decina
di metri, offe rifugio a qualche murena, a diversi giovani esemplari di cernia
bruna e, soprattutto, cernia dorata, e alle prime popolazioni di castagnole rosa
e piccoli saraghi fasciati.
Qualche polpo e diverse specie di molluschi nudibranchi si nascondono alla vista degli osservatori superficiali.
Già questa
parete, che poggia di nuovo sul fondo intorno ai 25 m di profondità, può da sola
rappresentare un percorso interessante per una intera immersione. Se invece si
vuole esplorare la scogliera più profonda, è necessario passare rapidamente
sopra la murata e procedere verso i 40 m di profondità, dove troveremo un altro
agglomerato di grandi macigni, il più grande di tutti e anche il più
ricco e popolato da una discreta fauna bentonica.
Dai
40 ai 60 metri,
nuvole di luccicanti pesci trombetta, in pieno giorno, sono pronti a
scivolare nel corridoio tra i due blocchi rocciosi principali e sono a volte
disponibili per qualche foto di grande effetto.
Grandi spirografi e una moltitudine di tunicati e poriferi ricoprono il
substrato colorandolo appena.
Tra il muro dei 15/25 m e la scogliera profonda, sovente si incontrano grossi
saraghi fasciati che nuotano molto alti dal fondo; se ben assecondati, i saraghi
si lasciano avvicinare e fotografare.
Tempo addietro ero solito cercare un assetto neutro in acqua libera, sospeso nel
vuoto, e aspettare che il numeroso gruppo di saraghi cominciasse ad avvicinarsi
per osservarmi da vicino.
Mi sentivo un po’ come ci si sente ai tropici quando ti circondano i barracuda:
solo che ero in Mediterraneo, nel cuore di questo straordinario mare dello
stretto, e a circondarmi erano semplici e comunissimi saraghi fasciati, così
grandi, belli e numerosi che, sinceramente, mi sentivo fortunato spettatore di
uno spettacolo per pochi e che pochi sapevano concedersi e gustarsi.
Ancora oggi, nonostante ci sia stata una regressione notevole nella biodiversità
del mare della Fiumarella, cerco di ripetere l’operazione di intrusione nel
“gregge” di saraghi, ma non mi ricapita più con la frequenza d’un tempo.
Lasciata l’acqua libera e
tornati in profondità, nelle fenditure della roccia si possono trovare grossi
anguilliformi tipo gronghi e murene.
Molti gli spazi colonizzati dalle spugne e da qualche bella madrepora (in
prevalenza notevoli colonie di Phyllangia mouchezii).
Il grigio domina comunque e tende a far risaltare i colori di piccole aragoste,
crostacei un tempo ben rappresentati da numerose colonie e oggi ridotti a poche
occasionali presenze. Tra l’altro, per osservare un’aragosta, è spesso
necessario superare i 50/55 m di profondità e sbirciare dentro una fenditura
orizzontale particolarmente adatta alle esigenze del nobile crostaceo.
Ma la Fiumarella e i suoi fondali non deludevano mai le mie aspettative;
almeno fino a qualche tempo fa. Oggi le cose sono cambiate molto e la speranza è
solo quella di un futuro in cui si pensi alla tutela delle coste e della vita
nel mare; un futuro fatto di una nuova consapevolezza e non più di ignoranza e
abusi.
Spostandosi a sud del torrente
un altro interessante percorso subacqueo ci aspetta di fronte la cosiddetta
Punta di Pellaro.
Già solo il cappello di questa secca spazzato dalle
correnti è uno spettacolo da mozzare il fiato.
Nelle prime pareti che cadono
ripide intorno ai 20 m di profondità numerose fessure verticali ospitano pesce
bianco e un po’ di pesce di tana stanziale, pesce in continuo movimento e mai
sicuro del proprio rifugio come accadeva un tempo. Da segnalare la presenza di
grossi esemplari di cerianthus e una moltitudine di invertebrati di dimensioni e
vistosità più contenute, tipo policheti, echinodermi, poriferi e tunicati.
Ma lo
spettacolo di questa secca è offerto dai pesci di passo, come ad esempio le ricciole; queste, numerose quando in giovane età o solitarie quando in fase
adulta, possono incrociare queste acque movimentate e limpide attratte dalle
bolle dei subacquei o, più naturalmente, dalla moltitudine di piccoli pesci alla
base della loro dieta. Mi è capitato di imbattermi persino in tonni di discrete
dimensioni e lampughe in caccia.
Le lampughe in particolare mi hanno
deliziato con uno spettacolo senza pari: l’attacco al banco di pesci con
piroetta rapidissima e sferzata sulla preda. Movimenti veloci e azioni
rapidissime, appena percepibili e impossibili da fotografare, si sono svolti
davanti agli increduli di un subacqueo, il sottoscritto, già sbalordito dai
colori di un pesce come la lampuga; figurarsi lo stupore dinnanzi al
comportamento insolito e particolarmente frenetico di questi pesci velocissimi.
Un’affacciata sugli ultimi
massi sparsi alla base della secca, tra i 50 e i 60 m di profondità, può essere
utile, con un po’ di fortuna, per l’osservazione di un nobile crostaceo come
l’aragosta, un tempo abbondante ed oggi ormai ridotta a poche presenze.
Con le
aragoste troviamo sciami di rosee castagnole e, ogni tanto, qualche grosso e
sornione grongo. Le murene sono abbondantissime a tutte le profondità e le
cernie abbastanza diffuse ma molto schive, con disponibilità di rifugi
notevolmente angusti e impenetrabili.
L’immersione sulla secca di
Pellaro è da ritenersi impegnativa sia per la profondità che per la corrente.
Il
percorso è interessante e denso di sorprese, ma non dimentichiamo che
l’interesse del sito aumenta nei periodi adatti al passaggio dei pesci pelagici,
periodi oggi stravolti dai cambiamenti climatici che hanno contribuito alla
modifica di equilibri esistenti dalla notte dei tempi, sui quali solo l’uomo è
stato capace di intervenire negativamente.
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