Le delicate
piume del mare
Se
dovessi descrivere l’aspetto di quei celenterati marini volgarmente noti come
pennatule
o pennacchiere
non esiterei a definirle “piume del mare” per via del loro aspetto, del
tutto simile a una penna d’uccello (o una piuma di struzzo, per essere un
pochino più precisi).
Fissate al fondale in maniera non definitiva e capaci di movimenti molto lenti e
graduali, le pennatule frequentano i fondali meno esplorati dai subacquei in
genere, quelli che vengono definiti “tecnicamente” fondi mobili (costituiti da
sedimenti di vario tipo e granulometria e comunque apparentemente monotoni se
osservati con una certa superficialità).
In Mediterraneo sono presenti due specie di pennatule:
Pennatula rubra
e Pennatula phosphorea.
Non posso però non menzionare un altro pennatulaceo molto simile che, pur non
essendo esattamente una pennatula (genere
Pennatulidae), gli somiglia
moltissimo e chiude il gruppo di questi insoliti celenterati; animali che, tutto
sommato, si possono osservare negli stessi ambienti e sugli stessi fondali.
Sto parlando del Pteroides spinosum,
unico rappresentante del genere
Pteroididae.
I due generi e le tre specie oggetto della nostra attenzione sono entrambi
appartenenti alla famiglia Pennatulacea,
ottocoralli
con scheletro centrale e base priva di polipi.
Ma prima di
entrare nel vivo delle nostre esplorazioni subacquee e vedere di capire come e
dove incontrare le pennatule e conoscerne la biologia, voglio raccontarvi un po’
di storia, legata alla diffusione della conoscenza di questi organismi, che dai
libri di biologia marina son passati improvvisamente, nel decennio appena
trascorso, sulle pagine delle riviste del settore subacqueo.
Tutto
inizia nel mare della mia città, Reggio Calabria, dove lo Stretto di Messina si
esprime con una biodiversità fuori da ogni immaginazione.
Sui fondali antistanti il lungomare, sabbiosi, detritici e fangosi con
variabilità estrema, vivono colonie molto numerose di pennacchiere rosse e
bianche, a profondità comprese tra i 20 e i 50 m.
Tali batimetrie si raggiungono rapidamente a pochi passi da riva, immergendosi
da terra con tutta comodità.
Ciò è dovuto alla particolare conformazione di questi
ambienti sommersi, subito profondi e solcati tutti i giorni da flussi di
correnti piuttosto sostenute.
Era da poco iniziato il 1990 e, in queste acque, ero l’unico “folle” – per
l’epoca - che si dedicava con costanza alla fotografia subacquea; tra l’altro,
spesso, mi immergevo di notte.
Quando nacque il primo diving center, alle porte dello stretto (Scilla),
diventai rapidamente amico e consigliere del titolare, un romano molto
intraprendente.
Gli svelai presto i segreti del mio mare e lo guidai alla scoperta dei migliori
punti d’immersione che conoscevo.
Tra questi i fondali del lido di Reggio
dove, sulla sabbia, gli mostrai gli straordinari “campi” di pennatule.
Il diving presto fece suoi i punti d’immersione da me segnalati e l’arrivo di un
giornalista fotosub, agli inizi del suo lavoro come fotoreporter ma già
collaboratore di riviste specializzate, avrebbe iniziato a promuovere l’immagine
dei fondali di Scilla e dintorni, compresi quelli di Reggio.
Ma tutto ciò cosa ha a che fare con le pennatule? Presto detto.
La storia
volle che tutti insieme “appassionatamente” ci ritrovammo sott’acqua tra le
pennatule e che le foto delle stesse finissero subito sulle pagine di
Mondo Sommerso
e poi su quelle de Il Subacqueo,
grazie al lavoro del giornalista invitato dal diving.
Risultato: si iniziarono a vedere per la prima volta queste strane creature
sulle pagine dei giornali. Da allora le pennatule apparvero più volte sulla
carta stampata e aumentò il flusso di fotosub nello stretto alla ricerca di
questi splendidi celenterati.
Più tardi
anch’io riuscii a pubblicare qualcosa su queste strane creature. Era il novembre
del 1996 quando uscì il mio primo articolo dedicato alle pennatule, sulla
rivista Aqva,
dal titolo “Una piuma in fondo al mare”.
Da allora ad oggi questi rari celenterati sono stati fotografati da molti
fotosub e posso dire di aver accompagnato la maggior parte di loro
personalmente.
Protagonisti
di tante avventure nelle tenebre, le “piume” del mare meritano oggi nuove
attenzioni, poichè la loro vita è messa a repentaglio da sistemi di pesca
invasivi (con reti che le strappano dal fondo) e da sempre nuove forme di
inquinamento ambientale. Per questo mi ritrovo ora sul web, a scrivere per la
loro conoscenza e la loro tutela, in loro difesa.
La pennatula ha la forma di una piuma o un alberello fissato al fondo, con un
“tronco” centrale e una serie di “rami” laterali, detti
lamine.
Organismo composito, è formato da più polipi diversi, ognuno con una precisa
funzione.
Ma attenzione: quando si parla di polipi non si fa riferimento solo a quelli
visibili e facilmente riconoscibili, a forma di “fiorellino” e disposti tutti
insieme sulle lamine, ma anche a quei polipi irriconoscibili ma molto importanti
per la struttura della colonia. Uno di questi è proprio lo stelo,
che potremmo definire il polipo principale, quello che sostiene l’intera colonia
e dal quale hanno origine i polipi secondari.
Lo stelo ha una forma più o meno cilindrica e una consistenza carnosa; si
sostiene in posizione verticale grazie a un bastoncino corneo ed è formato da
due porzioni distinte: la parte rigida, non a caso detta
rachide
(come si usa dire per la parte centrale della piuma di un uccello), e la parte
carnosa, il peduncolo;
quest’ultimo è dotato di una estremità capace di gonfiarsi in modo da assicurare
all’intero animale l’ancoraggio al fondale sabbioso o melmoso, dove restare ben
saldi è impresa non facile (specie quando si tratta di fondi mobili lambiti da
forti correnti).
Gli altri
polipi, detti secondari,
sono muniti di tentacoli per la cattura del cibo, rappresentato da minuscoli
animaletti del plancton in balia delle correnti, e sono disposti secondo una
scala gerarchica: i più giovani sono vicino allo stelo, dove nascono, mentre i
più anziani collocati alle estremità.
Le due specie
del genere Pennatulidae hanno una struttura e una colorazione simile, con
un colore uniforme di fondo che varia dal
rosso al
salmone, e
con i polipi di un bel bianco candido.
Alte fino a 20 cm, sono in genere abbastanza rare e presenti a partire dai 25-30
metri fino a 200 metri di profondità, in genere su fondi sabbiosi o melmosi. Le
pennatule bianche,
invece, sono più alte delle precedenti, sfiorando i 30 cm e più, e hanno polipi
più piccoli e spine laterali, disposte sulle lamine.
Il colore varia dal bianco
al grigio-giallo,
con sfumature brune. Anche questa specie e piuttosto rara ed è distribuita negli
stessi ambienti e alle stesse profondità delle altre pennatule.
La
rarità, tipica di questi organismi, non riguarda gli ambienti e i fondali marini
dello Stretto di Messina, sul versante calabro, dove invece ho sempre visto
tanti esemplari insieme, di tutte le dimensioni e in diversi luoghi.
Ciò che è raro nel Mediterraneo, nello stretto è addirittura comune!
Se decidete di immergervi nel mare dello stretto alla ricerca di pennatule è
meglio che vi dia alcune utili indicazioni per non rischiare di restare in fondo
al mare a far compagnia al mitico
Colapesce (lui ormai alle correnti
dello stretto è abituato…).
Fotografare questi celenterati o anche semplicemente osservarli nel loro
ambiente significa immergersi lungo pendii di sabbia degradanti velocemente
verso profondità dell’ordine di 30, 40 o anche 50 metri; tra le altre cose
significa anche muoversi su fondali totalmente privi di pietre o scogli dove,
quando agisce la corrente del canale, tutto è letteralmente coinvolto in modo
più o meno brusco. Quindi, occhio alla luna e ai periodi più indicati per
affrontare simili avventure, tra l’altro notturne, perché non è cosa facile
risalire lungo un pendio di sabbia con corrente che, in alcuni casi non rari,
spinge violentemente il subacqueo verso la profondità e il mare aperto.
La mancanza di validi appigli e ridossi non aiuta in fase di risalita
controcorrente e, in alcuni casi, porta il subacqueo non avvezzo a simili
esperienze a entrare in affanno e a farsi prendere dal panico. Solo i subacquei
dello stretto, che hanno maturato la loro esperienza in queste acque tormentate
dalle correnti, sanno come affrontare la maggior parte degli imprevisti; e sanno
anche quando evitare e rinunciare a un’immersione, poiché almeno un paio di
volte hanno saggiato il pericolo legato alle correnti.
In conclusione: fatevi accompagnare in mare da una guida subacquea locale e, in
ogni caso, immergetevi con le giuste condizioni ambientali e con le dovute
accortezze.
Premesso ciò,
vi suggerisco, una volta sott’acqua, di diventare delicati e leggeri come una
“una farfalla su un fiore”; un maldestro uso delle pinne in prossimità del fondo
o un assetto non controllato potrebbero infatti essere deleteri ai fini di una
buona perlustrazione, visto il sottile sedimento che andrete a sollevare.
Ammaliati da quanto apparirà sotto il fascio di luce della nostra torcia man
mano che guadagneremo metri verso il fondo, teniamo presente che inizieremo a
vedere le prima pennatule bianche intorno ai 18-20 metri; inizialmente sparse
una qui e una là, diventeranno più fitte man mano che ci sposteremo verso i
25-30 metri e, muovendosi in direzione parallela al litorale, avremo modo di
vedere che la concentrazione di individui per unità di superficie varia molto in
base al tratto di fondale; oltre i 30 metri si inizieranno a vedere anche le
pennatule rosse, particolarmente abbondanti tra i 35 e i 45 metri di profondità.
In alcune zone
dello stretto si trovano veri e propri “campi” di pennatule, uno spettacolo
unico, con una serie di altri celenterati della sabbia e una gran varietà di
piccoli pesci, crostacei e molluschi tipici dei fondi mobili; tutto a creare
magici ambienti dove l’osservazione della biodiversità del Mediterraneo diventa
spettacolo!
Le pennatule dello Stretto
di Messina
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