Storia di
un relitto minore
A
volte sembra che il mare mi chieda di raccontare delle storie, quasi che lo
desideri.
Forse perché pochi le racconterebbero perché a prima vista povere di contenuti,
forse anche perché queste storie – sussurra il mare - potrebbero colpire la
sensibilità degli animi permeabili, nella speranza che siano sempre di più gli
uomini che si aprono verso la comprensione dei suoi problemi, prendendone le
difese e tornando a stupirsi di fronte alle piccole cose, senza troppe pretese.
A volte i subacquei amanti dei relitti cercano navi affondate chi sa dove,
grandi di stazza, giacenti a grandi profondità; un grande relitto significa
infatti una grande storia, grandi emozioni, straordinarie immersioni; ma
soprattutto significa avere tanto da dire, tanto da raccontare e fotografare e,
per alcuni, anche tanto da scrivere. Condivido.
Ma è anche vero che il mare è grande, immenso, anche nelle sue espressioni
minori, quelle che solitamente passano inosservate.
Con un pizzico di sensibilità e una minima dose di esperienza anche un relitto
per così dire “minore” può essere
coinvolgente, carico di vita, bello da fotografare.
C’è
una storia, a tal proposito, che volevo narrarvi.
E' la storia, ormai triste come tante per le annesse problematiche
ambientali, di un relitto moderno, affondato nei pressi del circolo nautico
della mia città, che ha ospitato per anni la vita e che oggi è testimone delle
ultime tracce di biodiversità che resistono all’inquinamento urbano
Inquinamento che fino alla fine degli anni novanta era
tenuto a bada dall’impeto delle correnti dello Stretto di Messina.
Un relitto moderno, come detto, quindi privo di una storia antica; un relitto
però protagonista di una storia attuale come poche, testimone del depauperamento
biologico che dall’inizio del duemila a innescato una marcia in più accelerando
molti fenomeni di regressione della fauna nel sottocosta di una città che, fino
a poco tempo fa, poteva vantare un primato insuperabile, essendo una delle poche
in Italia ad offrire immersione avvincenti per ricchezza di specie presenti in
pieno centro, dove la vita cittadina freneticamente scorre…
Tuffiamoci nello Stretto a due passi da
riva, alla scoperta di quanto giace sul fondo intorno e sopra il relitto del
circolo nautico, su un fondale di sabbia chiara dolcemente degradante dopo una
prima scarpata di pietre, piccolo salto che ci porta subito intorno ai dodici
metri di profondità.
L’acqua è limpida e il cambio di temperatura ci assale già a soli otto metri di
profondità; siamo a metà ottobre e dai 22 gradi in superficie si passa a 18 o
19, e una lieve corrente diretta verso nord, senza disturbare il nuoto in
immersione, ci ricorda che in ogni caso siamo in un canale.
In breve, con lo sguardo
rivolto al mare aperto, si materializza la sagoma scura e inconfondibile del
relitto, in posizione di navigazione ma inclinato da un lato.
Povero relitto: quasi non
lo riconosco.
Mi ricordo quando lo vidi la prima volta, verso la fine degli anni ottanta.
Era bianco: tanti erano gli anellidi della specie
Salmacina d. che lo avvolgevano, quasi candidi, ricoprendo ogni
spazio disponibile.
E
ricordo gli anni successivi, quando i cicli biologici avevano visto la
regressione dei minuscoli vermi e vantaggio di vermi più grandi e noti, quali
sono appunto gli spirografi.
L’epoca degli spirografi è stata grande: si era creato un vero bosco, un
microcosmo per tanti piccoli crostacei e molluschi.
Granchi e paguri
d’ogni fattezza e colore, nudibranchi dalle tinte
sgargianti e dalle forme sinuose, piccoli blennidi
e una gran quantità di gobidi, oltre a famiglie di
labridi come i tordi e le donzelle, popolavano
quella piccola oasi di vita, fittamente colonizzata da invertebrati e densamente
frequentata da ogni forma di vita in movimento. |
Vedo ancora alcuni labridi,
ma la superficie del relitto è ricoperta solo da alghe e qualche spirografo
superstite.
Una volta anche i tunicati erano abbondanti e
Halocinthia papillosa e Phallusia mammillata
popolavano rispettivamente il substrato del relitto e la sabbia del fondo,
mentre oggi si fa fatica a vederne giusto qualcuna.
Sorpresa
confortante:
ecco uno splendido mollusco glossodoride, della
grande famiglia dei bellissimi nudibranchi.
Tranquillo mostra il suo ciuffo a “candelabro” voltandomi le spalle.
La forza della natura attira ancora in questi luoghi questa specie un tempo
molto frequente.
Percorro adesso la fiancata lato mare affacciandomi dapprima sotto la prua:
lo spazio accogliente d’un tempo non c’è più e quella camera naturale che si era
creata ad ospitare spirografi ed uova di calamaro è oramai insabbiata.
La chiglia è scarsamente incrostata e non vedo molta vita.
Non posso dimenticare una notte quando sul relitto, in pieno inverno, trovai
uova di calamaro ovunque.
Era un anno magico, la vita esplodeva, e tra candidi grappoli di uova e
flessuose trasparenze di Alicia mirabilis,
fare una notturna era come sognare ad occhi aperti. |
Gli ambienti interni a
poppa e a prua sono colonizzati da pochi poriferi e
offrono rifugio solo a qualche pesciolino; sul ponte vedo invece un
gobide incantevole: sembra
quasi il custode di questo castello di ferro ormai verde, sembra quasi il
guardiano di un luogo per lo più desolato.
Ma nonostante le scarse
presenze, desolato non lo si può definire e il bel ghiozzo
ha sempre da fare, impegnato com’è a scacciare gli
intrusi dal suo territorio.
La mia presenza lo turba e cerco di osservarlo
da intruso educato.
Mi sollevo dal fondo e mi allontano cercando di guardare il relitto nel suo
insieme: le castagnole sono ancora li, per fortuna,
tutt’intorno allo scafo, presenze costanti.
E verso poppa un segno di evidente ripresa: gli spirografi stanno forse
recuperando terreno, hanno di nuovo ripreso la crescita.
E sul fondo, tra le pietre, la rassicurante presenza di piccoli polpi, segno che
la specie resiste. Vado, è tempo di riemergere.
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