Colapisci
L'uomo che diventa pesce per scelta  o  per  necessità

Il tuffatore dello Stretto
 


Il relitto dei pesci trombetta

 

Ai tempi dell’università facevo avanti e indietro col traghetto tra le due sponde dello Stretto di Messina. Un dì mi accorsi, per puro caso, che una strana sagoma emergeva fuor d’acqua di fronte la falce della penisola di San Raineri (porto di Messina), a poche spanne da riva.
Guardando il mare dalla nave, guarda oggi, guarda domani, decisi di scoprire cosa c’era sott’acqua: la curiosità di sapere cosa nascondeva quel braccio di mare era grande. La prima cosa da affrontare fu trovare la strada di accesso a quella piccola e incantevole lingua di terra, così importante in passato (stiamo parlando della Cittadella, antica fortificazione spagnola) e oggi dimenticata e degradata, alla periferia della città.
All’epoca ero solo un cacciatore subacqueo apneista, mosso però da una passione fuori dal comune e da un interesse per il mare che andava sempre oltre la semplice battuta di pesca.
Fu così che trovai presto l’accesso, attraversando un quartiere degradato dove accampamenti di nomadi avevano preso possesso di un vasto territorio che la città sembrava aver dimenticato. Affrontai la situazione con un po’ di disagio, sapendo dell’invadenza di quel tipo di persone e dei furti che erano soliti compiere.
Ma la voglia di scoprire cosa si nascondeva sott’acqua, in quel luogo magico, era troppo forte.

Vinto l’indugio, affrontai il primo tuffo in totale solitudine. Mi portai a nuoto verso la tanto agognata meta, saggiando l’intensità delle correnti e godendo della limpidezza di un’acqua fresca e limpida.

Era un settembre di tanti anni fa, ma non dimenticherò mai la quantità di pesce bianco che mi si parò davanti agli occhi quando vidi per la prima volta le lamiere di quel vecchio mercantile sprofondare verso l’ignoto, nel blu cobalto di un mare incantevole e ricco come pochi.
Mi colpì soprattutto la quantità di muggini e spigole.
E mi colpì, non poco, l’acqua che correva intorno al ferro emergente: sollevandosi, spinta dall’impeto della corrente montante, mi costrinse a uscire dall’acqua per non essere trascinato via tra i flutti a far compagnia a Colapesce...

Osservando con attenzione, mi resi conto che avevo davanti agli occhi un bel relitto di nave, con la prua che ancora conservava ben leggibile il suo nome, “Rigoletto”; ma più che le strutture dello scafo, al primo impatto furono i pesci, con il loro viva vai, ad impressionarmi.

Qualche tempo dopo, quando già avevo iniziato ad addentrarmi nel mondo del silenzio con le bombole in spalla, tornai sul relitto, per vederlo e studiarlo meglio.
Il suo fascino mi lasciò folgorato e ancora oggi, nonostante sia questo uno dei relitti più piccoli del canale, le sue caratteristiche ne fanno un vero gioiello, unico nel suo genere.
Trovatemi infatti un altro relitto dove è possibile veder nuotare i pesci trombetta in gruppi così numerosi: non credo ci sia!
E dove i trombetta si mescolano alle castagnole rosa in modo così singolare…

Sono molti anni che non frequento il relitto del Rigoletto: mi piacerebbe capire cosa rimane di quella nave adagiata su un fondale ripidissimo, dove alla prua emergente si contrappone una poppa integra con tanto di elica in bella mostra.
Gli anni novanta mi hanno regalato intense e occasionali emozioni nell’esplorazione di questo scafo, le cui ampie stive conservano ciò che rimane di automobili d’altri tempi.
La scena più bella era però sempre quella dei trombetta che correvano frenetici lungo le fiancate o tra le pale della grande elica.
Conservo gelosamente le poche foto di questo splendido sito e mi auguro di tornare presto a fotografare la situazione attuale, nella speranza di non restare deluso.
Intanto vivo nei ricordi, quando con attenzione cercavo gli accessi migliori alle stive per realizzare qualche scatto d’effetto, dall’interno verso l’esterno.

Era una grande emozione sentire la corrente che ti investiva, quando arrivava, e proteggerti dietro le paratie dello scafo o all’interno di esso. Non era infrequente qualche incontro con giovani e allegre ricciole, ma cefali, saraghi e qualche spigola erano una costante; e tra le laniere affioranti anche molti stupendi esemplari di blennidi, come le bavose ruggine, in posa a sfoggiare le loro livree zebrate.
Certo era un groviglio di lenze e lembi di reti da pesca, specie tra le strutture semidistrutte del ponte.
Più rara è la presenza di grandi serranidi: giusto qualche cerniotta. Molto diffusi invece i serranidi più piccoli, come perchie e sciarrani, sentinelle onnipresenti tra le strutture d’ogni relitto che si rispetti. Uno dei punti di forza di questa nave è la poppa, che mostra ancora la splendida elica a circa 36 m di profondità.
Ogni fotosub o semplice amante dell’immersione in relitto è sempre attratto dalla poppa e dall’elica, sempre molto suggestiva da guardare e fotografare.
E se ti capita di vedere i frenetici piccoli trombetta passare tra le pale dell’elica lo spettacolo diventa unico.

L’immersione sul Rigoletto, il relitto dei pesci trombetta, non è complicata, sempre che la corrente consenta l’accesso in acqua.
Difficile e pericolosa è la penetrazione nelle stive, non tanto per gli accessi, abbastanza ampi, quanto per il rischio di crolli di strutture ormai vecchie e precarie
.
Tuttavia, con un po’ di cautela, è possibile ammirare auto d’epoca coperte da un fine sedimento, ovviamente con l’aiuto di un buon illuminatore che ci apra la strada verso gli ambienti interni del vecchio mercantile.
Qualcuno erroneamente chiama oggi questa nave “Maddalena Lo Faro” e, sinceramente, non ne comprendo il motivo e non capisco la fonte di questa errata credenza; specie se si considera che il nome della nave è ancora leggibile.
A meno che, come spesso accade, non si tratti di una denominazione precedente della stessa nave (le navi cambiano nome durante la loro vita…).
 

Rigoletto: il relitto dei pesci trombetta

 

 

 

 

Francesco Turano

 

 

 

 

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