San
Pasquale
nel regno dei polpi e delle mennole
Quando
arriva l’estate dedico la mia attenzione a quei punti d’immersione che in genere
trascuro durante il resto dell’anno. I luoghi che trascuro di più sono in genere
sul versante ionico dello stretto, dove l’acqua è spesso torbida e i colori
scarseggiano. Prima, dopo e durante l’inverno, la scarsa visibilità non rende
molto piacevole la perlustrazione di tali ambienti sommersi.
Le scogliere al confine col fango e la sabbia risentono infatti dell’influenza
dell’acqua delle fiumare, tipici torrenti d’Aspromonte;
quando piove, i torrenti trasportano a valle detriti d’ogni sorta, (e tutta una
serie di rifiuti non sempre biodegradabili), intorbidendo l’acqua per più
giorni.
Con l’arrivo della bella stagione il mare si calma e le fiumare riducono la loro
attività per via del cambiamento del clima; l’acqua limpida invita così alla
visita di alcuni ambienti molto particolari, anche se, come dicevo, piuttosto
poveri di colore.
C’è un altro fattore che mi
spinge a dedicarmi allo Ionio in estate: la relativa desolazione del territorio
e la scarsa presenza di bagnanti. Sul Tirreno, invece, località come Scilla o
dintorni, sono prese d’assalto dai turisti amanti dell’effimero e, anche a 40
metri di profondità, si avverte il rombo delle moto d’acqua, che fanno avanti e
indietro sulla tua testa. Come ogni anno aspetto quindi settembre, per vedere il
ritorno del “nulla” e riprendere la mia attività di sempre senza troppi
intralci. Nell’attesa eccomi sullo Ionio; a San
Pasquale, subito dopo Bova Marina.
Il litorale è formato da una
lingua di sabbia; sulla spiaggia, si appoggiano dolcemente promontori rocciosi
coperti dai gialli e dai verdi di quella vegetazione estiva caratteristica dei
territori caldi. Non sembrerebbe per niente che il mare nasconda scogliere e si
potrebbe pensare a un fondale sabbioso, osservando da fuori: sott’acqua invece
gli scogli son tanti e gli ambienti ricchi di anfrattuosità e sorprese.
L’immersione prevede un giro
in profondità e uno a pochi metri, dedicando l’attenzione ai due diversi
agglomerati rocciosi che questo tratto di costa presenta. L’acqua limpida e il
mare calmo, come si presentano di solito in estate, sono eventi di una certa
rarità nel resto dell’anno. Così, quando le condizioni lo consentono, vado a
scivolare lungo le pareti a picco nel blu più profondo e, attratto da un non so
che di misterioso, mi ritrovo ai piedi della scogliera, a –56 metri di
profondità. L’acqua ha una temperatura che oscilla tra i 25 gradi e i 19 delle
zone più profonde, la corrente è quasi sempre assente.
Toccare il fondo ai piedi di questa imponente cigliata, con l’acqua
limpida ma con l’orizzonte visibile comunque offuscato dal fango in perenne
sospensione, mi offre un’emozione diversa: è come se toccassi il suolo
lunare…tutto è silenzio, ed è avvolto dal nulla.
Mi godo questi momenti, anche se non c’è molta vita…
Solitamente
inizio a perlustrare la scogliera risalendo, poco alla volta, e concentrando lo
sguardo sul nuoto rilassante delle immancabili castagnole rosa. Spugne di specie diverse hanno scelto i loro spazi sul substrato roccioso
preferito: la Petrosia ficiformis,
con il suo colore rosso vinaccio quasi viola e la sua consistenza rigida al
tatto, tra tutte è la più grande e la più diffusa.
Mi è capitato di vedere, proprio tra queste pietre grigie, qualche rarissimo e
giovane esemplare di cernia nera, un
serranide amante delle grandi profondità e che solo da giovanissimo può
concedersi, seppur raramente, al subacqueo che osserva con scrupolo e pignoleria
l’ambiente.
Una volta qui
vivevano numerose cicale e
aragoste;
ora se ne vede una ogni tanto. Anche le cernie brune son diminuite e le poche
presenti sono molto smaliziate e vivono in anfratti particolarmente sicuri.
Restano ancora le curiose cernie dorate.
Questa scogliera è sempre
stata regno dei polpi
che, pensate un po’, l’avevano eletta a dimora primaverile per deporre e covare
le uova, ignari del pericolo “uomo”.
Scatto raramente qualche foto, giusto quando capitano quelle isolate
opportunità, e dopo una manciata di minuti mi dirigo verso la scogliera meno
profonda, evitando di accumulare troppa decompressione.
Sono abituato a usare l’aria che mi rimane per osservare la vita lungo la
scogliera litoranea, ricca di anfratti, tra gli otto e i quindici metri di
fondo. Molte sono le tane dei polpi, per lo più vuote per il continuo prelievo
di subacquei con pochi scrupoli.
Quando vedo quei sassi
disposti accuratamente davanti a una tana abbandonata penso sempre a quelli che
sott’acqua ci vanno da bracconieri, prelevando tutto ciò che capita, senza
conoscere e senza riflettere.
E le tane vuote dei polpi, che in estate si riproducono, sono davvero una cosa
inguardabile…
Durante il mio giro tra i tortuosi e suggestivi percorsi, tra le fenditure della
roccia, osservo sempre tantissimi re di triglie,
di un bel rosso infuocato, che formano sciami bellissimi, immobili nella
penombra appena sfiorata dai raggi del sole; con l’aiuto di una torcia si
vedono i maschi con le uova nella bocca …
Lo spettacolo è arricchito
da una rigogliosa prateria di posidonia;
dove le foglie lasciano spazio a vaste radure si assiste in primavera all’accoppiamento
delle mennole, qualcosa di veramente
straordinario.
Un via vai frenetico di pesci sui nidi costruiti sul fondo, con maschi che
sfoggiano livree bellissime mettendosi in mostra per la scelta di una compagna,
creano in soli dieci metri d’acqua un luogo di magiche danze di pesci argentati
con sfumature verdi e azzurre.
Fotografare è in questo caso riduttivo: occorrerebbe riprendere una serie di
scene, filmare, ma più volte è sempre stata solo la mia mente a filmare e se
dovessi raccontare cosa ho visto non troverei parole adatte.
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