Colapisci  -   L'uomo che diventa pesce per scelta  o  per  necessità   -     Il tuffatore dello Stretto


Scilla: notturna di pieno inverno

Ventuno gennaio, ore diciotto: il mare è quasi calmo, anche se ogni tanto frange un’onda lunga e gonfia che rammenta il vento di ieri. Sono pronto, sulla spiaggia di Marina Grande a Scilla, per affrontare una nuova immersione, come sempre ansioso di scoprire e lieto di staccare i contatti col mondo terrestre, per quanto possibile. Dario mi accompagna in questo viaggio nel buio, affiancandomi nel migliore dei modi, con la giusta discrezione e l’esperienza del subacqueo incallito.
Sembra che la corrente sia ferma per incanto: l’acqua è limpida e invitante, la temperatura piuttosto bassa, e il fondo sotto di noi, quando iniziamo la discesa, è cosparso di una moltitudine di argentei zerri, come sempre pronti a darci il benvenuto.

Passano pochi istanti è già intravediamo il primo pesce San Pietro: siamo a venticinque metri di profondità e il pesce è di dimensioni modeste, per cui decido di proseguire verso la nostra meta, sperando di ritrovare il pesce in risalita.
Obiettivo: la base della montagna. Qui, tra le gorgonie rosse e gialle, ottimo sfondo per le fotografie, organizzo la ricerca dei miei soggetti, preferibilmente pesci, quei bei pesci mediterranei che tanto mi affascinano.
Ma ecco il primo incontro: un grosso scorfano rosso, con una pinna dorsale maestosa, è in perfetta posizione vicino a due gorgonie. Mi avvicino, inquadro e scatto. Cambio angolazione, muovendomi poco e piano intorno al pesce, e lo fotografo in più modi, a distanze molto contenute.
Una volta soddisfatto, lo saluto e continuo la mia ricerca.
Non sono ancora passato al sistema digitale e devo dosare bene le 36 pose di una cara vecchia pellicola da 50 Iso (Velia) affinché non resti sprovvisto nell’ipotesi di incontri ed eventi d’eccezione.

Ma ecco ancora uno scorfano rosso, bello ma più piccolo del precedente: non riesco a trascurarlo, merita almeno un paio di scatti.

Siamo intanto arrivati alla base della guglia rocciosa obiettivo del nostro itinerario e sulla destra la luce di Dario si riflette sulla livrea quasi candida e slavata di due grossi San Pietro, che nella notte sembrano quasi evanescenti.
I pesci si lasciano andare a muso in su, fermi e apparentemente indifferenti; in realtà la luce li stordisce e li porta ad assumere un atteggiamento anomalo, per cui, vista la loro scarsa disponibilità a posare per delle foto, tolgo il disturbo e la luce dai loro occhi.
Sempre vigile e guardingo, scruto tra i ventagli delle paramuricee, le più belle tra tutte le gorgonie, cercando di scoprire eventuali animali celati e ben mimetizzati. Il fascino dei polipi delle gorgonie, che sembrano esplodere nella loro fioritura notturna, mi aggredisce sempre e mi invade l’animo quasi come fosse la prima volta che li vedo: è inevitabile.
L’atmosfera creata dalla moltitudine di colori che contrastano con uno sfondo assolutamente nero è difficile da poter descrivere bene per rendere l’idea, seppur vaga, di quanto ti si presenta davanti agli occhi laggiù, a 45 metri di profondità, di notte.
Incantato da quanto mi circonda, mi ritrovo ancora una volta un San Pietro a tagliarmi la strada: il suo atteggiamento sembra privo di nervosismo e riesco a fargli una bella fotografia.

Poi una tanuta, con la sua striata livrea notturna, si sposta lentamente in prossimità del fondale: riesco a stento a depistare la sua traettoria e a farla fermare vicino una gorgonia gialla; era da tanto che non vedevo una bell’esemplare di questo tipo di sparide.
Finalmente la scena è quella giusta da riprendere e provvedo rapidamente a immortalare il tutto.
Credo che per fotografare bene i pesci del Mediterraneo sia fondamentale ambientarli col giusto sfondo o isolarli su un fondo di sabbia o detrito affinché risaltino o per dare l’idea dell’ambiente in cui vivono.
L’esperienza mi ha portato quindi a cercare di far spostare i pesci, con l’aiuto del fascio di luce e del buio, nei punti giusti per dar vita a un’immagine che trasmetta anche il senso della vita nel mare.
Ovviamente il tutto nei limiti delle possibilità offerte dalla natura vivente e senza disturbare eccessivamente la fauna e la flora.
Sono trascorsi più di venti minuti ed è tempo di risalire e spostarsi a profondità più contenute. Ma al primo scoglio che trovo sulla strada del ritorno vedo una murena: è grossa, talmente ingombrante che, nel tentativo di indietreggiare nel suo nascondiglio, la fretta gli fa raggrinzire la spessa e morbida pelle, al punto da impedirle movimenti agevoli e disinvolti.
Una bella scena, che mi devo limitare ad osservare e che non posso fotografare per la posizione della murena nell’antro.
Poi il mare mi regala un’altra bella sorpresa: un’altra murena fa un balzo per afferrare uno zerro per la cena e, disturbata dalla mia luce, si ritira rapidamente tra le rocce intanandosi frettolosamente.
Mi sento un intruso e mi rendo conto di essere come un passante in un mondo non suo, indiscreto e pronto a mettere il naso nella vita altrui. Ma il mio amico mare mi conosce e mi ospita sempre generoso. Il rispetto, tra me e il mare, è reciproco, e così tutto va per il meglio.

Siamo giunti sulla franata, ai piedi della rupe che emerge imponente fuor d’acqua e caratterizza il borgo di Scilla. Una torpedine posa adesso disinvolta per altre due foto, mettendo in mostra la sua livrea maculata.
Poi ancora un’altra torpedine, a poca distanza, più grande e di un altro colore: ho colto così due sfumature della livrea di uno stesso pesce, cogliendo le differenze per una adeguata documentazione scientifica.
Il valore della foto naturalistica è così completo, unendo il rigore scientifico all’estetica e all’esaltazione delle forme e dei colori di Madre Natura.

Prima di arrivare alle profondità idonee per la decompressione sono costretto a sostare ancora un po’ intorno ai 10 metri nel tentativo, non riuscito, di fotografare una musdea. La caverna che ospita questo timido pesce è troppo profonda e la situazione mi sfugge di mano.
Mi rifaccio con un giovane sarago maggiore, più semplice da fotografare per la sua stabile posizione tra le rocce. Il sarago tende le pinne e risalta su un ottimo sfondo roccioso, dove alcuni policheti mettono in mostra i loro candidi ciuffi.

Ma è tempo di risalire e di godere di quegli ultimi istanti nel buio, tra i nove e i tre metri, dove si percepiscono, a torce spente, i bagliori del mondo emerso e del borgo di Scilla; luci che, attraverso la superficie, ci raggiungono e ci ricordano la nostra natura di animali terrestri e la necessità di riemergere per una nuova pausa prima di ritornare in mare…

 

Francesco Turano

 

 

 

 

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