Colapisci
L'uomo che diventa pesce per scelta  o  per  necessità

Il tuffatore dello Stretto
 

 

Sott’acqua al "tempietto"

 

Verso la fine del lungomare di Reggio una traversa sulla destra della strada principale, in direzione sud, conduce al mare: qui si trova il circolo velico e, subito dopo, un grande piazzale con una piccola struttura in cemento simile a un antico tempio ma ridimensionato nella misure, denominata non a caso “il tempietto”.

Unico accesso al mare per chi voglia praticare un qualsiasi sport legato all’acqua è uno scivolo pavimentato, posto accanto a un ristorante (che, ovviamente, si chiama “Al tempietto”), al margine di un piazzale poco frequentato che rappresenta l’ultimo lembo della bella Via Marina della città.
Anticamente, questo tratto di costa era occupato da stabilimenti balneari con baraccamenti a palafitta, ed era famoso per le sorgenti d’acqua dolce (oggi scomparse).
Il sedimento è sempre stato molto particolare, con ciottoli (di uno-due centimetri di diametro medio) mescolati a sassi ed alternati ad arenili sabbiosi. 

Il fondale, un tempo frequentato da grossi cefali al pascolo, mormore, orate e qualche sarago, fino alle soglie del duemila era ricoperto da una incredibile quantità di spirografi e crinoidi ed era cosparso di pietre chiare colonizzate da spugne arancioni, che si alternanavano con una grande quantità di tunicati, nella fascia più fonda, e una moltitudine di anellidi ed echinodermi in quella più bassa.
Negli ultimi anni, purtroppo, le cose sono andate via via peggiorando e oggi le sorprese son diminuite.

I pesci di un tempo sono solo un ricordo, ma la magia di un mondo sommerso dalle caratteristiche uniche è ancora percepibile e nulla toglie che si possa recuperare qualcosa con una politica diversa nel futuro.
Ma torniamo alla situazione attuale.
Strutture come vecchi sanitari, carcasse di elettrodomestici e ferraglie varie (inclusi pezzi di automobili) costituiscono dei relitti veri e propri, substrato ideale per l’insediamento di molte specie animali e vegetali.
Nelle acque antistanti le strutture del circolo velico, in una fascia ampia una cinquantina di metri, sono disseminati sul fondo oggetti vari, plastica compresa, ed è un vero peccato visto l’habitat esistente, non compromesso dai relitti sopra menzionati, che in breve tempo vengono integrati col resto, ma deturpato dai piccoli oggetti spesso non biodegradabili.
Piccoli blennidi vivono all'interno di mattoni forati o qualche pinna nobilis vuota, ma non disdegnano gli oggetti cavi come barattoli o bottiglie; simpatici scorfani dai rari colori, qualche ghiozzo e qualche grossa bavosa occhiuta si dividono le varie strutture abitabili e qualche verme col ciuffo decora le poche pietre sparse.

Una volta qui vi era un “bosco di spirografi”, vermi con tubicini chitinosi flessibili piegati nel senso di marcia della corrente; questi ospitavano uno tra i più bei celenterati del Mediterraneo: l'Alicia mirabilis.
Un’attinia dalle abitudini esclusivamente notturne, abbastanza rara nel Mediterraneo in genere, era qui diffusissima, e poteva capitare di osservare anche due o tre esemplari molto vicini l’uno all’altro, aderenti all’apice dei  tubi degli spirografi; tubi decorati ulteriormente da una moltitudine di antedon (echinodermi conosciuti anche come gigli di mare), aggrappati tenacemente allo spirografo, nella porzione basale,  in folte schiere di individui.  Uno spettacolo davvero unico, con ancora piccoli gruppi di pesci trombetta che nuotavano a testa in giù.
Adesso queste splendide attinie sono sparite e di trombetta ne son rimasti pochi; solo i rigori dell’inverno e l’acqua fredda consentono ancora di fare qualche bell’incontro notturno; questo è il luogo dove infatti è più indicato immergersi col buio, quando si risveglia quella vita straordinaria che di giorno è assente.

Fu in queste acque che avvistai e fotografai, nel 1996, un raro pesce proveniente dal mar Rosso: un monacantide denominato Stephanolepsis diaspros.
B
en tre esemplari di diversa taglia in tre immersioni differenti, fortunatamente fiduciosi e disponibili ad essere fotografati. Il pesciolino restò un riferimento per l’identificazione di questo sito sommerso negli anni a seguire.
Ancora oggi mi immergo su questi fondali e, anche se le cose sono un po’ cambiate, spostando l’attenzione su una fascia un po’ più profonda, diciamo tra i 30 e i 45 metri, riesco ancora a osservare diverse specie interessanti.

Un classico dell’inverno pieno sono i calamari: dal nulla appaiono magicamente, fendono l’oscurità, ti osservano e decidono se concedersi o meno. Qui ho visto strani pesci abissali fin sotto il pelo dell’acqua e, poche volte nella vita, ho avuto l’onore di assistere all’accoppiamento dei pesci trombetta (che ho documentato fotograficamente una sola volta).
Tra i percorsi subacquei dello stretto questo è uno di quelli che ancora consiglio agli amanti del buio e delle immersioni notturne.
Una volta facevo ingresso in acqua, da terra, poco prima del circolo velico.
Oggi ciò non è più possibile per la chiusura di quel tratto di mare, dato in gestione all’Università Mediterranea e, di conseguenza, inaccessibile. In pratica rimane solo quel piccolo ingresso accanto al tempietto, l’ultimo accesso a un mondo sommerso ancora vivo, ma in serio pericolo.

 

 

Francesco Turano

 

 

 

 

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