Un mollusco gasteropode molto
importante, quindi, o per lo meno molto noto sin da tempi remoti per la sua
conchiglia; una conchiglia che, se priva di incrostazioni, è tra l’altro molto
bella sia nei colori che nella forma affusolata e slanciata. Essenzialmente
mediterranea, questa specie si rinviene anche nelle regioni atlantiche adiacenti
ma, per il subacqueo, l’incontro non è mai frequente, soprattutto per l’elevata
profondità dell’habitat e il grande potere mimetico. Anche se poi si sono
verificati molti avvistamenti in acque basse, specialmente in Grecia. I miei
avvistamenti sono tutti legati ad acque profonde e tutti relativi al mare dello
Stretto.
Con i suoi 40 centimetri di
lughezza massima, il tritone è il più grande gasteropode esistente in
Mediterraneo. Vive prevalentemente su fondi rocciosi ed è una specie necrofaga
ma anche carnivora, capace di inghiottire intere stelle di mare, ofiure e
oloturie. Tipica del Mediterraneo occidentale e centrale, è presente con due
diverse specie (alcuni sostengono tre): Charonia lampas lampas e
Charonia tritonis variegata. Il mollusco è stupendo: di colore arancio
carico, presenta lunghe appendici con gli occhi, ben visibili, all’estremità. Il
piede è più scuro e il grande opercolo è marrone intenso, quasi nero. Con una
conchiglia a spira conica, con ultimo giro molto ampio e apertura ovale,
presenta un largo labbro esterno, denticolato e munito di sporgenze ad uncino
ripiegate verso l'interno. Sulla conchiglia, specie lungo gli anelli, sono
presenti una serie di tubercoli nodosi, come dei bozzi. Il colore di fondo è
beige chiaro, quasi bianco in alcuni casi, o verdastro, con macchie marroni
diffuse negli avvallamenti; i denti del labbro esterno sono anch’essi maculati
di marrone e il labbro interno è bianco. Ma qualche foto della conchiglia
all’asciutto chiarisce meglio le idee di qualsiasi descrizione che si possa
tentar di fare sull’aspetto di questo gasteropode. Oggi specie protetta per via
della sua notevole rarefazione, fino a pochi anni fa era addirittura frequente e
nel mare dello Stretto di Messina se ne vedevano discreti esemplari. Anche i
bambini che vendevano conchiglie ai margini delle strade possedevano sempre
qualche tritone più o meno bello.
Per conoscerla dal vivo la si
deve osservare nelle immagini riprese in natura e che vi propongo o, in
alternativa, immergersi tante di quelle volte da avere la fortuna, prima o poi,
di avvistarla.
Tornando a Scilla, dove la vidi la prima volta, devo confessare
che, dopo l’avvistamento, mi catapultai sul mollusco come fa un falco sulla sua
preda (accorgendomi solo dopo del salto di quota di una decina di metri): - 58
m! Prendo la conchiglia, la sollevo dal fondo e la ribalto, la osservo: la
studio dal vivo per la prima volta.
Non ce la faccio a lasciarla lì e la porto
con me a profondità più modeste (intorno ai 40 m), dove posso poggiarla,
osservarla, fotografarla. La poggio inclinata da un lato nella speranza che il
mollusco esca fuori nel tentativo di riprendere equilibrio e possesso della sua
posizione normale; così accade, in una manciata di secondi, forse un minuto. Son
lì a guardare ed aspettare: eccola, si muove piano, fuoriesce lentamente e con
movimenti pacati, allunga il piede verso il fondo e inizia a estendere le
carnose appendici sormontate da occhietti neri che scrutano quanto accade
intorno.
Lo spettacolo è grande, notevole, entusiasmante…
Finalmente distende un po’ i
muscoli e riesco a vedere degli atteggiamenti quasi normali che mi consentono di
fotografarla.
Bellissima, la conchiglia e il suo mollusco, predatore accanito di
echinodermi, gigante dei gasteropodi per eccellenza.
Scatto tanto, tantissimo.
Poi penso: chi lo sa come verranno le foto (all’epoca il digitale non esisteva),
forse è meglio portarla qualche giorno in acquario. E così faccio.
Qualche
giorno in trasferta, tra l’altro utili per completare i miei studi e le mie
osservazioni, e poi di nuovo in mare, per fare altre foto e rimettere a posto
l’animale nello stesso punto del prelievo.
Non ho ha avuto molti incontri
con il tritone del Mediterraneo, ma quei pochi (una decina in tutto) sono stati
sufficienti per fotografare e conoscere, seppur marginalmente, questa curiosa
creatura del mare.
Quello che mi è rimasto più impresso è lo sguardo: solo pochi
molluschi, come ad esempio i cefalopodi, hanno occhi ben visibili da
potersi concentrare, sott’acqua, sullo sguardo dell’animale.
Il tritone, tra i
molluschi con conchiglia, è certamente quello con gli occhi più in vista, un po’
come quelli della chiocciola sulla terraferma ma di maggiori dimensioni.
Un episodio che mi ritorna
in mente per lo stupore generato nei compagni d’immersione dell’epoca è
un’impegnativa immersione su una profonda secca al largo di Favazzina, subito a
nord di Scilla (detta secca dei francesi).
Il cappello della secca a – 45 e il
fondo a – 70 metri. Immersione bellissima, non ricordo i dettagli.
Ma è viva in
me la visione del tritone più grande che avessi mai visto sott’acqua, tra
l’altro con una splendida conchiglia priva di incrostazioni e con in vista tutte
quelle sfumature di colore bianche e marroni.
La conchiglia finì immediatamente
tra le mie mani (eravamo cinque sub) e fui costretto a portarla in barca come
fosse ormai di mia proprietà.
La tentazione di trattenerla e conservare quella
conchiglia meravigliosa c’era, eccome se c’era.
Ma al rientro verso Scilla, sul
gommone, mentre gli altri si passavano la conchiglia tra le mani a turno
osservandola sbigottiti (e mormorando più volte “che culo”, porca miseria),
l’odore del mare, il paesaggio dello Stretto e forse le sirene di Ulisse
nascoste chi lo sa dove mi invasero l’anima invadenti.
Quando la conchiglia
tornò a me, dopo il giro, mi alzai e pensai: non è giusto!
“Ragazzi, la vedete
questa meraviglia della natura? La volete vedere nella vetrina del mio salotto
per il resto dei suoi giorni privata della sua vita? No, non sarò io a porre
fine alla sua esistenza, non ce la faccio, è troppo bella.”
E dopo averla
sollevata verso l’alto con le mani, la lanciai in mare, dove nessuno avrebbe più
potuto disturbarla (me lo auguravo di cuore, vista la profondità che avevamo
sotto il gommone, superiore ai cento metri).
La lanciai accompagnato dall’urlo
comune che nacque spontaneo come un coro: nooooooooo…. Increduli, mi presero per
scemo, anche se forse qualcuno riuscì poi a riflettere. Le foto rimarranno per
sempre la testimonianza del mio incontro con un gigante del mare ma non porterò
nel cuore l’angoscia di aver ucciso un animale, tra l’altro troppo bello.
Inutile dire che in salotto qualche conchiglia di tritone c’è comunque: qualcuna
recuperata dai pescatori, forse una comprata, ed una prelevata perché pagurata.
Una volta, le foto lo testimoniano come sempre, vidi persino una conchiglia di
tritone di medie dimensioni (una ventina di centimetri) camminare rapidamente
sul fondo: dentro, ovviamente, non c’era il mollusco legittimo proprietario ma
un enorme paguro rosso, con due chele che sembravano quelle di un astice.
Ero
nel mare a nord della mia città, Reggio Calabria, su un fondo mobile
prevalentemente detritico (Archi). Una prateria di Cymodocea, con le
foglioline nastriformi verde brillante, fungevano da tappeto al principe dei
paguri, che vantava il possesso di una così nobile conchiglia.
Rubai, come un
ladro, la conchiglia al paguro, ma senza fretta: lo feci in acquario, offrendo
al nonno dei paguri un involucro alternativo e riportando poi il crostaceo nel
suo ambiente naturale.
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