Colapisci
L'uomo che diventa pesce per scelta  o  per  necessità
Il tuffatore dello Stretto
 

Francesco Turano ci narra le meraviglie dello stretto


Il tritone, tromba dell’antichità

Quando vidi la prima volta il tritone sott’acqua, ai piedi dell’imponente scogliera sommersa di Scilla (il cui macigno più alto, sott’acqua, è chiamato “montagna”), fu un colpo al cuore, non credevo ai miei occhi.
Dall’alto, distinguevo solo il profilo della conchiglia, poiché il suo colore e le sue incrostazioni la rendevano perfettamente uguale al coralligeno circostante.
La mente fece un tuffo nel passato, quando nello Stretto la conchiglia del tritone era usata tipo un corno, come uno strumento musicale:
la cosiddetta “brogna”.
Aerofono dai richiami arcaici e mitologici particolarmente suggestivi, la conchiglia del tritone ha conservato, fino a circa 30-40 anni fa, un uso funzionale come strumento sia da segnale, in ambito lavorativo, sia rituale, nell'ambito di cerimoniali festivi.
Sui Peloritani, catena montuosa della provincia di Messina prospiciente l’Aspromonte, si suonava la brogna per annunciare l’inizio di lavori agricoli di vario genere.
Una curiosità degna di nota è l’uso della brogna anche nei rituali e nelle festività; in particolare si parla di un uso paramusicale in occasione del “fistinu”, un concerto assordante che si improvvisava sotto la finestra del vedovo che si risposava.
Ancora oggi si suona il tritone privato dell’apice nelle festività di Carnevale a Saponara e in molti altri luoghi della Sicilia.
 

Un mollusco gasteropode molto importante, quindi, o per lo meno molto noto sin da tempi remoti per la sua conchiglia; una conchiglia che, se priva di incrostazioni, è tra l’altro molto bella sia nei colori che nella forma affusolata e slanciata. Essenzialmente mediterranea, questa specie si rinviene anche nelle regioni atlantiche adiacenti ma, per il subacqueo, l’incontro non è mai frequente, soprattutto per l’elevata profondità dell’habitat e il grande potere mimetico. Anche se poi si sono verificati molti avvistamenti in acque basse, specialmente in Grecia. I miei avvistamenti sono tutti legati ad acque profonde e tutti relativi al mare dello Stretto.

Con i suoi 40 centimetri di lughezza massima, il tritone è il più grande gasteropode esistente in Mediterraneo. Vive prevalentemente su fondi rocciosi ed è una specie necrofaga ma anche carnivora, capace di inghiottire intere stelle di mare, ofiure e oloturie. Tipica del Mediterraneo occidentale e centrale, è presente con due diverse specie (alcuni sostengono tre): Charonia lampas lampas e Charonia tritonis variegata. Il mollusco è stupendo: di colore arancio carico, presenta lunghe appendici con gli occhi, ben visibili, all’estremità. Il piede è più scuro e il grande opercolo è marrone intenso, quasi nero. Con una conchiglia a spira conica, con ultimo giro molto ampio e apertura ovale, presenta un largo labbro esterno, denticolato e munito di sporgenze ad uncino ripiegate verso l'interno. Sulla conchiglia, specie lungo gli anelli, sono presenti una serie di tubercoli nodosi, come dei bozzi. Il colore di fondo è beige chiaro, quasi bianco in alcuni casi, o verdastro, con macchie marroni diffuse negli avvallamenti; i denti del labbro esterno sono anch’essi maculati di marrone e il labbro interno è bianco. Ma qualche foto della conchiglia  all’asciutto chiarisce meglio le idee di qualsiasi descrizione che si possa tentar di fare sull’aspetto di questo gasteropode. Oggi specie protetta per via della sua notevole rarefazione, fino a pochi anni fa era addirittura frequente e nel mare dello Stretto di Messina se ne vedevano discreti esemplari. Anche i bambini che vendevano conchiglie ai margini delle strade possedevano sempre qualche tritone più o meno bello.

Per conoscerla dal vivo la si deve osservare nelle immagini riprese in natura e che vi propongo o, in alternativa, immergersi tante di quelle volte da avere la fortuna, prima o poi, di avvistarla.
Tornando a Scilla, dove la vidi la prima volta, devo confessare che, dopo l’avvistamento, mi catapultai sul mollusco come fa un falco sulla sua preda (accorgendomi solo dopo del salto di quota di una decina di metri): - 58 m! Prendo la conchiglia, la sollevo dal fondo e la ribalto, la osservo: la studio dal vivo per la prima volta.
Non ce la faccio a lasciarla lì e la porto con me a profondità più modeste (intorno ai 40 m), dove posso poggiarla, osservarla, fotografarla. La poggio inclinata da un lato nella speranza che il mollusco esca fuori nel tentativo di riprendere equilibrio e possesso della sua posizione normale; così accade, in una manciata di secondi, forse un minuto. Son lì a guardare ed aspettare: eccola, si muove piano, fuoriesce lentamente e con movimenti pacati, allunga il piede verso il fondo e inizia a estendere le carnose appendici sormontate da occhietti neri che scrutano quanto accade intorno.
Lo spettacolo è grande, notevole, entusiasmante…

Finalmente distende un po’ i muscoli e riesco a vedere degli atteggiamenti quasi normali che mi consentono di fotografarla.
Bellissima, la conchiglia e il suo mollusco, predatore accanito di echinodermi, gigante dei gasteropodi per eccellenza.
Scatto tanto, tantissimo. Poi penso: chi lo sa come verranno le foto (all’epoca il digitale non esisteva), forse è meglio portarla qualche giorno in acquario. E così faccio.
Qualche giorno in trasferta, tra l’altro utili per completare i miei studi e le mie osservazioni, e poi di nuovo in mare, per fare altre foto e rimettere a posto l’animale nello stesso punto del prelievo.

Non ho ha avuto molti incontri con il tritone del Mediterraneo, ma quei pochi (una decina in tutto) sono stati sufficienti per fotografare e conoscere, seppur marginalmente, questa curiosa creatura del mare.
Quello che mi è rimasto più impresso è lo sguardo: solo pochi molluschi, come ad esempio i cefalopodi, hanno occhi ben visibili da potersi concentrare, sott’acqua, sullo sguardo dell’animale.
Il tritone, tra i molluschi con conchiglia, è certamente quello con gli occhi più in vista, un po’ come quelli della chiocciola sulla terraferma ma di maggiori dimensioni.  Un episodio che mi ritorna in mente per lo stupore generato nei compagni d’immersione dell’epoca è un’impegnativa immersione su una profonda secca al largo di Favazzina, subito a nord di Scilla (detta secca dei francesi).
Il cappello della secca a – 45 e il fondo a – 70 metri. Immersione bellissima, non ricordo i dettagli. Ma è viva in me la visione del tritone più grande che avessi mai visto sott’acqua, tra l’altro con una splendida conchiglia priva di incrostazioni e con in vista tutte quelle sfumature di colore bianche e marroni.
La conchiglia finì immediatamente tra le mie mani (eravamo cinque sub) e fui costretto a portarla in barca come fosse ormai di mia proprietà.
La tentazione di trattenerla e conservare quella conchiglia meravigliosa c’era, eccome se c’era.
Ma al rientro verso Scilla, sul gommone, mentre gli altri si passavano la conchiglia tra le mani a turno osservandola sbigottiti (e mormorando più volte “che culo”, porca miseria), l’odore del mare, il paesaggio dello Stretto e forse le sirene di Ulisse nascoste chi lo sa dove mi invasero l’anima invadenti.
Quando la conchiglia tornò a me, dopo il giro, mi alzai e pensai: non è giusto!
“Ragazzi, la vedete questa meraviglia della natura? La volete vedere nella vetrina del mio salotto per il resto dei suoi giorni privata della sua vita? No, non sarò io a porre fine alla sua esistenza, non ce la faccio, è troppo bella.”
E dopo averla sollevata verso l’alto con le mani, la lanciai in mare, dove nessuno avrebbe più potuto disturbarla (me lo auguravo di cuore, vista la profondità che avevamo sotto il gommone, superiore ai cento metri).
La lanciai accompagnato dall’urlo comune che nacque spontaneo come un coro: nooooooooo…. Increduli, mi presero per scemo, anche se forse qualcuno riuscì poi a riflettere. Le foto rimarranno per sempre la testimonianza del mio incontro con un gigante del mare ma non porterò nel cuore l’angoscia di aver ucciso un animale, tra l’altro troppo bello.

Inutile dire che in salotto qualche conchiglia di tritone c’è comunque: qualcuna recuperata dai pescatori, forse una comprata, ed una prelevata perché pagurata.
Una volta, le foto lo testimoniano come sempre, vidi persino una conchiglia di tritone di medie dimensioni (una ventina di centimetri) camminare rapidamente sul fondo: dentro, ovviamente, non c’era il mollusco legittimo proprietario ma un enorme paguro rosso, con due chele che sembravano quelle di un astice.
Ero nel mare a nord della mia città, Reggio Calabria, su un fondo mobile prevalentemente detritico (Archi). Una prateria di Cymodocea, con le foglioline nastriformi verde brillante, fungevano da tappeto al principe dei paguri, che vantava il possesso di una così nobile conchiglia.
Rubai, come un ladro, la conchiglia al paguro, ma senza fretta: lo feci in acquario, offrendo al nonno dei paguri un involucro alternativo e riportando poi il crostaceo nel suo ambiente naturale.

 

 

Francesco Turano

 

 

 

 

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