PAOLO EMILIO
CARAPEZZA
IL GRAN TEATRO DEL
MONDO
[Ed. in:
Guttuso e il
teatro musicale, a cura di Fabio Carapezza Guttuso, Edizioni
Charta, Milano 1997. Za wyrażenie zgody na wykorzystanie tekstu
redakcja serdecznie dziękuje Panu Fabio Carapezza Guttuso, Edizioni
Charta di Milano oraz Archivi Guttuso di Roma]
A Mariangela, con i suoi
lampi
anche qui illuminanti
[...]
Le prime grandi opere di Guttuso sono
gli affreschi nella chiesetta dell' Aspra, la marina di Bagheria,
ch'eseguì non ancor diciottenne su richiesta della madre; ed un
grande paravento a più pannelli del 1937 per la Kalesa, il
palazzo dei marchesi De Seta alla marina di Palermo. Due grandiosi
drammi mitici ascensionali: negli affreschi dell'Aspra sono
i pescatori di quel borgo con le loro donne ad esser assunti in
sacre conversazioni ad interpretare angeli e apostoli (pescatori
d'uomini) e la Beata Vergine Maria e Gesù Cristo; nel paravento
emerge dall'acque profonde tra spuma d'onde Afrodite. Amor sacro e
amor profano, due capolavori perduti e ritrovati: gli affreschi
sotto la bianca calce d'intonaco che li copriva; tre dei sette
pannelli fortunosamente recuperati da Fabio Carapezza Guttuso, altri
due incorniciati in una casa milanese.
Se queste due prime grandi opere di
Guttuso eran destinate a una chiesa, a una casa, l'ultima
e forse la più grandiosa colora tutto il soffitto del maggior teatro
di Messina.
Su tre dozzine di quadrati di legno ben stretti e
connessi (1985) vediamo il famoso gran tuffo di
Colapesce: una
discesa, un'immersione profonda e definitiva, di contro
a quelle ascensioni.
Tre scene mitiche: le
prime due fresche, aurorali, piene di luminosa speranza, l'ultima in
pieno conflitto di luce e tenebre repentino finale inabissarsi. Le
scene iniziali e la conclusiva del gran theatro del mondo:
tra d'esse tutte le altre grandi e piccole, lunghe e brevi,
concrezioni o suggestioni di suoni. Lì i miti puri del
mondo giovane, quando convivevano e conversavano uomini e dei:
i pescatori dell'Aspra si riconoscevano angeli e santi, le loro
donne Madonne in cielo; Afrodite dormiente sull'acque, bellissima
tra i delfini, ha le sembianze della marchesa Maria de Seta, e
mentre Stromboli fuma sullo sfondo, dalle altre isole e dall'Isola
a lei accorrono irresistibilmente affascinati tritoni e
centauri, e giovinetti si tuffano e cavalieri tirandosi appresso il
cavallo; chiari i colori, limpida l'aria, gravida di felicità
la vita. Qui invece s'è incrinato il mito, si spalanca l'abisso tra
la terra franta, dove irrompe il mare, e fra la sorpresa delle sette
sirene, dei delfini e dei gabbiani, vi s'immerge l'uomo travagliato
ed arso, per andar a sorreggere la sua patria cadente, ad
impetrarsi sottomarina cariatide; livida luce e morte tra tenebrose
sponde brulicanti di perigliosa vita.
Il tuffo di Colapesce viene vissuto
da Guttuso e rappresentato come un'opera teatrale. Il gran balzo
verso l'eternità, che nella tomba di Posidonia vediamo tra canti
d'uomini e suoni di lira e d'auloi, avviene qui tra canti e incanti
di sirene, le sette sirene del mar della sua vita: “E il naufragar
gli è dolce in questo mare”. Ulisse, alla fine del suo ultimo
viaggio, ormai solo, non vuol e non può più legarsi all'albero
maestro.
Quella che vediamo sul soffitto del Teatro Vittorio
Emanuele di Messina è la scena centrale e saliente; nei numerosi
bozzetti possiamo vedere le precedenti con i vari stadi del
tuffo e i movimenti delle sirene, e la conclusiva con l'uomo
ormai in fondo all'acque, invano seguito dai delfini, e il
soprassalto delle sirene sbigottite di non vederlo più risalire. Guttuso soleva condurre a termine i drammi dei suoi
soggetti, anche dopo d'averne compiuto la grande scena
culminante.
[...]
Testo completo in
Il gran
teatro del mondo
© RHYTMOS 2003 spis
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