La sirenetta e
Colapesce
(1)
E... finalmente in quella città, che aveva il privilegio di essere bagnata da ben due mari, giunse a
governare una bella sindachessa, che amava tutto quanto era bello, amava le
cose belle in virtù di essere Donna e in virtù del fatto che si chiamasse
La Bella.
Lei cambiava spesso look,
cambiava pettinatura, cambiava spesso il modo di truccarsi, il modo di
agghindarsi, cambiava ogni mese il colore dei capelli, cambiava la
montatura dei suoi occhiali da sole, se avesse potuto avrebbe cambiato anche
la sua identità anagrafica, solo che, quella, non avrebbe mai potuto
cambiarsela. Ahimè!
La bella sindachessa un giorno
cambiò gli arredi cittadini, dando nuovo look alla sua antichissima città,
cambiò alcune facciate di antichi palazzi, cambiò proprietà ad alcune
proprietà della città, tolse le vecchie fioriere e ne fece installare di
nuove, e decise un bel dì di decorare la zona della
marina, fatiscente e decrepita fino ad allora, con
delle belle sirenette di pietra, che commissionò ad un rinomato scultore, nativo della città. Il posizionamento delle
tre sirenette avvenne in pompa magna.
Furono invitate tutte le emittenti locali, tutte le testate
giornalistiche, tutti gli artisti locali, tutte le scuole, tutti i centri
culturali. E tutti, tutti accorsero ad ammirare le sirenette di pietra…..
La sirenetta della quale desideriamo seguire le vicende fu posizionata lungo una riva a pochi metri
dalla strada e tutti gli automobilisti di passaggio potevano ammirarla, ma
solo con un rapido sguardo, perché la strada in quel preciso punto si
trasformava in una curva, pertanto non era possibile
potersi soffermare a lungo su quella affascinante creatura di pietra, la quale aveva le fattezze di una adolescente nel pieno fulgore dei
suoi anni.
La sirenetta intanto era costretta in una posizione che la
costringeva in una fissità e ad un immobilismo che erano destinati a sfidare
i secoli. L’artista l’aveva scolpita ripiegata sulle ginocchia, con le mani poggiate sullo scoglio e lo sguardo rivolto sulla
superficie del mare.
Ella ignorava il punto topografico sul quale erano state fissate le sue sorelle sirene e percepiva
una solitudine infinita,essendo stata separata da
esse. Ricordava i lieti giorni della loro creazione,
quando da massa informe e inanimata presero forma tra il loro stesso
stupore. Lei lo ricordava bene.
Fu un giorno di un torrido agosto, quando cominciò a vivere. Quale
emozione quando sentì le mani di un uomo sulla massa informe della sua
materia.
Ne percepì il calore corporeo, che era senza
dubbio diverso da quello del sole leonino che tutto rendeva incandescente in
quella stagione dell’anno….
Fu in quel preciso momento che l’uomo le infuse quella capacità, che
è solo prerogativa degli esseri umani, di percepire sentimenti. Si
relazionava, nei riguardi dell’artista, come ci si può relazionare con il
proprio creatore. Si sentiva nascere sotto le sue
mani anche se la sua nascita era condizionata ad una sofferenza indicibile.
Nasceva sotto i colpi di un martello. Si formava con l’aiuto di uno
scalpello. Sentiva tutto il dolore di una vera nascita, come quel dolore che
accompagna la nascita delle creature umane, con la sola differenza, che il dolore, in questo caso lo sentiva colei
che veniva generata e non colei che generava, come le donne quando mettono
al mondo le creature del loro amore.
Tutto questo pensava continuamente la sirenetta nella sua fissità animata.
La sua posizione la obbligava a guardare sempre il mare, sembrava voler
scorgere qualcuno o qualcosa da un momento all’altro. Come colui che attende
un visitatore desiderato, annunciato o insperato.
Guardando continuamente il mare ella poté conoscere tutta la fauna che
popolava quelle acque.
Dalle prime ore del giorno passeggiavano pesci dai vari e cangianti colori,
sembravano a sirenetta come tanti giovani umani quando passeggiavano per le
vie dei centri delle loro città. Senza nessun apparente motivo o interesse,
se non quello di adocchiare eventuali prede, per l’eterna legge che regola
il mondo, e che vale sia per gli uomini che per i pesci. Cioè
quella secondo la quale il pesce piccolo viene sempre mangiato da quello
grande.
Sirenetta aveva imparato a riconoscerne alcuni di questi luccicanti abitanti del mare. Sapeva riconoscere il pesce martello, le numerose e alate razze, le sardine, sempre in abito da sera verde smagliante. Il ridicolo pesce palombo,
Il signor pesce pizzuto, vagamente somigliante ad un impettito impiegato di banca, le signorine triglie sempre col musetto rosso,
i pesci scorfani brutti ma dal cuore buono, i cefali che amavano sguazzare nel torbido, i neri ricci pungenti e scontrosi, le timide stelle marine, il
rarissimo ippocampo, il quale non si sentiva del tutto a suo agio in quelle strane acque.
Sirenetta e l'aereo di carta
Qualche tempo dopo sirenetta cominciò a fare delle scoperte interessanti….
Scoprì che, alle prime luci dell’alba, grandi uccelli bianchi e ciarlieri si
levavano da chissà quali nascondigli e danzavano vorticosamente nell’aria
come se un violinista invisibile suonasse un Bolero straordinario…
danzavano, danzavano come ebbri d’aria.
Era una danza mai vista prima.
Anche lei avrebbe voluto danzare come quei
straordinari ballerini ricoperti da candidissime piume. Il colore che
ricopriva il suo aspetto di mitica creatura marina in principio somigliava
vagamente al bianco, ma ahimè, la salsedine e lo smog l’aveva ben presto
ricoperta di un sottile manto grigio-fumo.
Le piccole gocce d’acqua, essiccandosi al sole potevano anche apparire
cangianti come un tessuto laminato, ma l’azione distruttrice dei tubi di
scappamento degli innumerevoli automezzi che circolavano dalle sue parti lo
tramutavano in luttuoso abbigliamento. E il lutto non si addiceva a
sirenetta.
A volte sirenetta sentiva come una morsa stringere il suo petto. Il suo
petto di pietra pareva fosse stato tramutato, come per incanto, in un cuore di carne. Ne percepiva tutto il peso. Si sentiva immersa
in una solitudine infinita ma non disperava. Coltivava nel più profondo del
suo essere, infatti, la speranza che un giorno
avrebbe potuto condividere le sue emozioni con un’altra creatura, marina,
aerea o terrestre non lo sapeva ancora. Ma attendeva
fiduciosa e paziente, immersa come era in un Tempo senza Tempo.
Un giorno, mentre era avvolta in una nube di silenzio, vide un piccolo
drappello di paguri sospingere, alla maniera delle formiche terrestri, il
rottame di un piccolo aereo di carta caduto dal cielo. Era una scena in
bilico tra il grottesco e il drammatico. Sirenetta era incuriosita. Non
aveva mai visto un aereo di carta, né mai aveva visto un vero aereo. perché
nella città da lei abitata non transitavano aerei.
Finalmente il piccolo drappello di paguri si fermò e ad uno ad uno questi
piccoli operai del mare cominciarono a “smontare” in mille piccoli pezzi ciò
che rimaneva dell’aereo di carta.
Sirenetta, con lo sguardo sempre rivolto sul fondo del mare, notò che
l’aereo custodiva una storia. Ah! Se avesse potuto leggerla...
Fu in quel preciso istante che
il paguro più anziano percepì il segreto desiderio di Sirenetta , e preso a
compassione di quella singolare creatura decise di compiere la sua buona
azione quotidiana. Spedì i giovani paguri a svolgere un altro compito, molto
più in là da dove si trovavano i rottami dell’aereo di carta e prese a
raccoglierli ad uno ad uno, con indicibile pazienza, riuscendo a completare una specie di puzzle dal quale emergeva quasi
totalmente la trama di una storia d’amore.
“Vieni, voliamo” le disse l’uomo facendola accomodare sul suo piccolo
aereo di carta. Lei si lasciò guidare timidamente e si accomodò sulla
piccola poltrona, affianco al pilota, sistemandosi ben bene l’orlo della
veste fino a ricoprire perfettamente le ginocchia.
Un gesto che non sfuggì
al suo compagno di volo e che gli lasciava intravedere molte cose di lei,
del suo essere innocente e pudìca come una bambina. Poi avviò il suo motore
di sinistra (leggasi “cuore”) e l’aereo si sollevò dolcemente da terra. Lei
si sentiva tranquilla e protetta, sapeva di essere in buone mani. Con quel
compagno di viaggio avrebbe condiviso un tratto di cielo e avrebbero
approfondito la conoscenza reciproca durante il tragitto.
Da quel momento, i due strani viaggiatori si sentirono proiettati a migliaia
e anche a milioni di anni luce lontano dagli altri.. Potevano finalmente
andare nello spazio, e realizzare viaggi interplanetari dentro l’Essere. E
non tardarono molto a scoprire che l’universo vero, scuro e ignoto, era
dentro di loro..
Fu un viaggio breve, ma intenso, quantificabile in circa sei mesi terrestri.
Sei mesi o sei anni durante i quali accaddero episodi di rara intensità
emozionale. I due viaggiatori avevano tanto da dirsi.
Ad ogni domanda di lui lei rispondeva con immediatezza, quasi con furore,
era totalmente trasformata. Era allegra, spiritosa, ironica e sapientemente
civettuola. Kundera dice che la civetteria femminile è una promessa di coito
non mantenuta, e di ciò ella era perfettamente consapevole, perché da tempo
aveva imparato a sottomettere alle sublimi esigenze dello spirito quelle che
erano le esigenze umane della carne. Le pareti della
sua anima erano come pagine bianche in attesa di Parole.
Erano come bianchi muretti di tratturi che attendevano viandanti in cerca di
ristoro.
Il suo compagno di viaggio percepiva in lei la ricchezza dei giardini di
marzo. Gli occhi di lei erano forzieri colmi di promesse mentre i suoi si
riempivano di uno strano turbamento.
In una breve sosta, durante la quale provvidero a fare rifornimento di
carburante e di risorse, egli volle dipingere sulla carlinga dell’aereo di
carta uno stemma che rappresentasse la loro personalità. Tracciò un cerchio
e lo divise in due nel senso verticale: dipinse un mezzo sole nel
semicerchio di destra, rosso e palpitante, con innumerevoli raggi
lanceolati: nel semicerchio di sinistra vi dipinse una mezza luna con le sue
zone d’ombra e i suoi mari tenebrosi.
Appena ebbe finito di dipingere l’uomo si allontanò di qualche passo, per
guardare con evidente soddisfazione il suo capolavoro, e, chiamatala a sé, le mostrò lo stemma con una gioia mista a
sofferenza che le accendevano gli occhi mobilissimi e scuri.
“Vedi” le disse, “il Sole sei tu, tutta fiamma e fuoco, unica e irripetibile e
sogni, sogni il Presente, il Futuro e il Passato, perché, credo che nel
Sogno ti completi.Il Sogno è l’aria che respiri: tu
avanzi nel tuo andare con questa fiaccola ardente tra le mani e non puoi
capire…non puoi capire i comuni mortali, immersi come sono nelle loro tristi
realtà”.
Lei lo guardava rapita e ascoltava come in trance la descrizione del suo
“essere fuoco e fiamma”.
Poi, dopo una lunghissima pausa, egli proseguì:
“Io sono questo, invece: sono questa parte di Luna in penombra, con il
mio pessimismo, la mia concretezza, la mia ragionevolezza che mi porta a
svuotare anche il più piccolo Sogno….….Mi stupisce
la tua capacità di fare poesia con un niente; a volte con meno ancora di
niente: forse perché a me manca del tutto la Fantasia.
E le parole per raccontarla non so nemmeno dove si trovano.
Tu sei figlia di Saffo, sei intrisa di poesia; tu sei immersa nella
luce, nella tua stessa Luce: io, invece, brancolo nel buio….”
Come gioire di questo volo - proseguì il
misterioso viaggiatore -
Se penso a muri invalicabili, a distanze cosmiche, se penso a vuoti d’aria e
precipizi?“
Lei si rabbuiò notevolmente nel sentire questa seconda parte della
spiegazione, non poteva non approvare la sua saggezza, anche se avrebbe
preferito ignorarla.
La storia dei due viaggiatori
aveva catturato l’anima di sirenetta: non aveva mai sentito storie di questo
genere.
In verità non aveva mai sentito Storie: questa che il
saggio paguro le stava trasmettendo le apparve subito come una straordinaria
storia d’amore.
Lei non conosceva cosa fosse l’amore, ma lo identificava a quello strano
sussulto che percepiva dentro di sé ogni qualvolta la morsa della solitudine
si faceva sentire.
L’amore, pensava sirenetta, doveva essere una cosa meravigliosa. Mentre era
assorta in questi pensieri non si accorgeva che il saggio paguro aveva
interrotto la lettura.
Al puzzle mancava un piccolo tassello andato perduto durante il trasporto,
di ciò che restava dell’aereo di carta.
“Leggi, leggi ancora” pensava la sirenetta, tentando di farsi udire
dal saggio paguro.
In effetti, anche questa volta, il suo desiderio più recondito fu ascoltato
e il paguro proseguì la lettura della storia.
Dopo la spiegazione del significato dello stemma che l’uomo aveva dipinto
sulla carlinga dell’aereo di carta, risalirono a bordo, per proseguire il
volo. Lei, dotata della rara capacità di
scandagliare l’animo umano, percepì che qualcosa in lui stava cambiando e si
chiedeva affannosamente se il suo compagno avesse deciso, in cuor suo, di interrompere il viaggio…
Sirenetta ascoltava commossa e si appassionava stranamente a questa storia.
Soffriva per la segreta sofferenza della protagonista e sperava in cuor suo,
che tutto andasse a buon fine.
“In cuor suo”, ma lei non aveva cuore, le sirenette di pietra non
sono dotate di cuore: il cuore, questo involucro d’anima, è retaggio e
prerogativa degli esseri viventi!
Cominciò a farsi strada in lei la consapevolezza di essere “diversa”;
aveva qualcosa di umano nelle sue membra di pietra.
Era capace di provare sensazioni, stupore, desiderio di relazionarsi con gli
altri esseri viventi e inanimati.. ma si sentiva al
contempo lontana mille anni luce dalla Vita.
Poco dopo, questo triste pensiero fu fugato dal fatto che, egli, si mise a
discorrere con ritrovata serenità, di un quadro di Van Gogh, della
straordinaria ricchezza di opere d'arte contenute nel Louvre e di una strana
coppia di musicanti che aveva visto a Parigi.
Lui, alto e biondo, con un jeans liso fino all'inverosimile, suonava il
violino.
Lo suonava in maniera sublime. Lo faceva vibrare tra le braccia come se
fosse una creatura vivente; come se fra le sue braccia stringesse il corpo
di un'amante. Lo suonava con una tale passione da far accapponare la pelle
ai turisti che si fermavano a guardare.
Lei invece, era una ballerina, graziosa e minuta, indossava un tutù ormai a
brandelli, memore, tuttavia, di giorni e tempi forse più felici.
Aveva un paio di scarpette da ballo, con nastrini di raso che le fasciavano
le caviglie, ormai ridotte all'osso.
Mentre parlava di questo, l'affascinante compagno di viaggio denunciava una
strana, avvincente, malinconia che le faceva cadere sugli occhi di gitano un
velo di sofferenza.
Poi, ad un tratto disse:
- Presto tornerò a Parigi. Lì ci sono i Sogni più belli. Farò il poeta
sulle rive della Senna e se avrò fortuna comprerò un violino anch'io... e, se ci sarà ancora quell'uomo, glielo regalerò, se avrò fortuna...
-
Diceva queste cose come se le
avesse decise da tempo; che fosse ormai solo questione di momenti?
- Si, andrò a Parigi, Parigi..- ripeteva quasi a se stesso -
Parigi.- mentre lei si sentiva infliggere coltellate al petto, ad ogni
suo dire Parigi.
- Montmartre, il mercato dei fiori... affitterò una soffitta e mi ci
stabilirò, finirò lì i miei giorni...-
Ma tu sei unica e irripetibile - le aveva anche detto, ed ora quel
suo farneticare Parigi, Parigi, le rafforzava il triste presagio.
Da quel momento ella restò muta, come un'allodola colpita alla gola.
Egli pensava ancora a Parigi, e lei sognava di cavalcare una nuvola
bianchissima a forma di Ippogrifo, quando un improvviso colpo di vento
travolse il piccolo aereo di carta e i due strani viaggiatori che aveva a
bordo, facendoli precipitare nuovamente nel Pianeta del Silenzio più
assordante.
Non rimase nulla di loro, tranne alcuni versi annotati su foglietti di
carta, che volteggiarono a lungo sotto il peso del cielo.
Anna Marinelli
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