I successi di Garibaldi provocarono
un grande allarme a Torino. Cavour infatti, sia per evitare le
complicazioni internazionali che una marcia di Garibaldi verso
Roma sicuramente genererebbe, sia per limitare l’euforia dei
repubblicani che rischiano di far nascere un’Italia del Sud
repubblicana, convince il re a occupare le Marche e l’Umbria
(di dominio pontificio).
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Tra settembre e ottobre del 1860, un
contingente militare sabaudo diede inizio alla campagna contro lo
stato pontificio in Italia centrale, con la scusa della
repressione fatta dall'esercito pontificio nei confronti dei
rivoluzionari favorevoli all'Unità d'Italia
L'esercito sabaudo con due armate, lasciata la
Romagna, si diresse verso le Legazioni pontificie dell'Umbria e
delle Marche. Una armata andò verso l'Umbria, conquistando
Perugia il 14 settembre. L'altra armata si diresse verso le
Marche, attraverso due linee d'attacco. La prima linea
seguiva la via degli Appennini, passando per Urbino e
Gubbio. La seconda seguiva la costa attraversando Pesaro,
Fano e Senigallia. Le due linee si riunirono, poi, a Jesi. Il 18 settembre i due eserciti avversari si
scontrarono a Castelfidardo.
Vinti i pontifici, l'esercito sabaudo prese Ancona il 29
settembre.
Motivato dal fatto che i territori liberati da
Garibaldi erano in preda a disordini, Vittorio Emanuele II
prese in mano il comando dell'esercito sabaudo e si diresse verso
sud, attraversò il fiume Tronto, assediò fino alla presa la fortezza
di Civitella, sostenne, con scarsa resistenza avversaria, la
battaglia del Macerone e si diresse verso Chieti per
raggiungere Roccaraso, i valichi degli Abruzzi e, quindi,
raggiungere la piana del Volturno, dove nelle Fortezze di Gaeta e
Capua si erano asserragliati in una strenua resistenza i
Borbone.
L'evento conclusivo della spedizione fu la battaglia
del Garigliano, combattuta il 29 ottobre del 1860. |